Quanto impieghi a scrivere i tuoi libri?

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Una delle domande che nelle presentazioni si propone spesso è “Quanto impieghi a scrivere i tuoi libri?”
Io resto qualche secondo in silenzio, poi rispondo che non esiste una risposta valida sempre, per me. Scrivere un libro, per chi non lo fa di mestiere o non ha accordi con case editrici, è un’azione che può rispondere solo a esigenze personali.
Posso darmi un tempo, fare una scaletta che scandisca i momenti della giornata o della settimana in un certo periodo da dedicare alla stesura del mio libro. Oppure, scrivere solo quando sento la fiamma accesa.
Riconosco però, che nel caso dei miei romanzi, eccetto l’ultimo, quando sentivo la creatività al massimo ero davvero presa a dedicare molto tempo anche tutti i giorni.
La mia risposta alla domanda è che è stato diverso per ogni libro. In questo post vorrei condividere con voi proprio questo. Come se fossimo a una presentazione e vi avessi davanti. Scomparsi a Urbino è stato scritto in un’estate, di ritorno a casa dopo il primo anno universitario. Prima della penna che lascia il segno sul foglio c’è una fase che definisco spugna: assorbo quanto vedo, mi accade intorno. Ci sono dettagli legati a persone, luoghi e situazioni che finiscono in un cassetto della memoria perché mi colpiscono in modo particolare e so che devo conservarli per quando scriverò. In un anno la nebbia di Urbino mi è entrata fin dentro le ossa, una giornata all’orto botanico con tanto di atmosfera ambigua non la scorderò mai, le passeggiate alla Fortezza e tanto altro assorbite e poi riprese in fase di scrittura e trovate dai lettori tra le pagine del libro.

Oltre gli occhi invece è stata tutta un’altra esperienza. Hai iniziato a vedere la luce circa dopo quattro anni dopo suo fratello, con una gestazione molto intensa, viva e sofferta.
Ho impiegato almeno due o tre anni e essendo stato un lasso di tempo lungo e discontinuo, è stato inevitabile percepirmi diversa anche nello scrivere.
La nostra scrittura è inevitabilmente influenzata da come ci sentiamo e cosa viviamo e a volte ho faticato io stessa nel riprendere dopo tanto tempo. Questo libro è stato scritto in quattro case diverse, in base ai miei spostamenti, una alternanza del luogo di scrittura allineata con la scansione temporale dell’avvio creativo.

Dentro il bianco è stato pubblicato ancora dopo quattro anni. Chissà come, questa coincidenza mi ha fatto pensare più volte. E’ stato un libro diverso dagli altri che ho iniziato a scrivere di getto durante una nevicata del 2011 ed era concluso già da almeno un anno prima che riuscissi a pubblicarlo. Ci sono stati fatti esterni alla scrittura che hanno ritardato la pubblicazione e si può non considerare che il tempo dello scrivere non è lo stesso di quello della pubblicazione. Quanti manoscritti ad esempio restano nel cassetto… Dentro il bianco l’ho scritto con coraggio e dedizione, elaborando tanto della mia vita in quell’ultimo periodo ma anche in questo caso c’è stato un lasso di tempo di non scrittura e poi di ripresa che mi portò anche fare delle modifiche.
Converrete anche voi che la mia risposta alla domanda non può non considerare diversi aspetti.

Per finire il caso dell’ultimo, Imprevedibili effetti della convivenza, ho iniziato a scriverlo senza immaginare sarebbe diventato un libro, non ha una trama ma sono brevi capitoli a se stanti ma su uno stesso filo conduttore. Lì ho comunque raccolti in tre anni di convivenza.
Nella scrittura il tempo non esiste, forse quello dedicato ad essa è sempre in un eterno che si misura solo con i flussi di quello che accade nel cuore e nella mente di chi scrive.

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